martedì 30 maggio 2017

Bassa Bresciana: sfruttavano lavoratori anche minorenni, condannato un imprenditore

Pubblicato su:

Condannato a 5 anni l'imprenditore Gurmit Singh, titolare della società "Singh is King" e considerato il capo del sodalizio che sfruttava i lavoratori, e a 4 mesi Lakbir Singh, che invece faceva solo l'autista.

Sarebbero almeno 34 le vittime di un sistema purtroppo assodato di metodico sfruttamento dei lavoratori disperati: erano tutti indiani, connazionali dei loro sfruttatori, tre di loro addirittura minorenni, uno di loro che aveva ancora 13 anni. Sono due i condannati: il 24enne Gurmit Singh, titolare della società “Singh is King” e considerato a capo dell'organizzaione, e il più “anziano” Lakbir Singh, che invece faceva solo l'autista.

Il primo è stato condannato a cinque anni di reclusione, con l'obbligo di espulsione dal territorio nazionale una volta scontata la pena. Il secondo invece è stato condannato a “soli” quattro mesi di carcere.

Il meccanismo funzionava anche grazie alla complicità di aziende italiane della zona, che in cambio di qualche “mazzetta” si inventavano delle false assunzioni. In realtà i lavoratori venivano pagati in nero, e non più di 300 euro al mese per lavorare anche 15 ore al giorno.

I giovani operai vivevano nel ricatto: costretti ad accettare condizioni lavorative da terzo mondo pur di poter rimanere in Italia, sognando un giorno il pemesso di soggiorno. Lavoravano nei campi e negli allevamenti, in aziende agricole bresciane.

In particolare la manodopera sarebbe stata "smistata" nelle campagne di Alfianello, Ghedi, Gottolengo, Roncadelle e San Gervasio. La “banda” degli sfruttatori era ben articolata: c'era chi reclutava i lavoratori, chi li portava in azienda a lavorare, chi trattava con gli imprenditori.

martedì 9 maggio 2017

A Peppino e ai compagni che lottano insieme a lui

Peppino, Impastato, Bellezza, Legnano, Antimafia
Il 9 maggio del 1978 moriva assassinato da cosa nostra Peppino Impastato. Se lui fosse ancora qui con noi non avrebbe mai voltato le spalle e avrebbe lottato ogni giorno contro le mafie e le tante ingiustizie. Come ricorda il vignettista Mauro Biani in una vignetta dedicata a Peppino, siamo sicuri che sarebbe stato dalla parte dei più deboli e avrebbe accolto i tanti migranti in fuga dalla guerra dandogli il benvenuto e insegnandoli e mostrandogli la bellezza della sua amata Sicilia. 

Per Peppino la bellezza era al centro di tutto: "Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà".

Oggi, giorno della ricorrenza della sua morte, il Comitato Antimafia di Brescia "Peppino Impastato" vuole esprimere la propria vicinanza ai compagni di Legnano in seguito a quanto accaduto la scorsa notte quando alcune persone non ancora identificate hanno bruciato il telo che rivestiva una targa dedicata a Peppino Impastato

Ai compagni di Legnano va tutto il nostro sostegno e ci auguriamo che chi ha bruciato la targa dedicata a Peppino possa, prima o poi, imparare la bellezza.

lunedì 8 maggio 2017

‘Ndrangheta, arrestato Rocco Barbaro. “E’ il referente dei clan in Lombardia”

Pubblicato su:

Articolo di Lucio Musolino

Latitante dal 2015, il boss inseguito da un ordine di custodia della Dda di Milano è stato individuato in Calabria a Platì, il paese d'origine. Il suo clan è attivo da decenni a Buccinasco, alle porte del capoluogo lombardo. Tra le contestazioni, il controllo occulto di un bar nel comune del milanese

Per la latitanza aveva scelto la Calabria e, in particolare, la sua Platì considerata “culla” della ndrangheta. È stato arrestato intono alle 13 il boss Rocco Barbaro, 52 anni (nella foto), ricercato dal 2015 e che a breve sarebbe stato inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia. Secondo la Procura di Milano, Rocco Barbaro è l’attuale referente Lombardo delle cosche calabresi.

I carabinieri del gruppo Locri lo hanno scovato all’interno dell’abitazione di una delle figlie. Conosciuto con i soprannomi di “u Sparitu” e “u Castanu“, Rocco Barbaro era ricercato perché destinatario di un’ordinanza di arresto per associazione mafiosa emessa dal gip di Milano su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.

I fatti contestati si sarebbero consumati tra il maggio 2013 e il gennaio 2014, quando il boss, secondo l’accusa, è stato intermediario della cessione della proprietà di un bar nel capoluogo lombardo. L’accusa per “U Sparitu” è intestazione fittizia a una terza persona, in quanto la precedente gestione del bar aveva contratto numerosi debiti, in particolare con i Monopoli di Stato.
Oltre alla compravendita dell’esercizio commerciale, Rocco Barbaro avrebbe gestito in modo occulto il bar controllando in tutto e per tutto l’operato del nuovo titolare, anch’egli originario di Platì.
Già due volte latitante (nel 2003 è stato arrestato sempre a Platì), Rocco Barbaro è figlio del patriarca Francesco e fratello di Giuseppe considerato il “re” dei rapimenti. Da anni si era trasferito in Lombardia, a Buccinasco, alle porte di Milano, dove il clan Barbaro ha numerosi interessi soprattutto nel traffico di droga.